Kairosh, tempo addietro, segnalò un paio di articoli sul tradimento. Ho recuperato il primo, di
Stefano Cirillo, perché mi colpirono in esso la classificazione in quattro categorie e in particolare, due di queste.
Il tradimento con la famiglia d'origine
Ma tutte queste attese che nutriamo nei confronti del partner, attese che possono rischiare di rimanere deluse, tutte queste aspettative anche irrealistiche, il progetto che ognuno di noi fa sull'altro, la speranza di essere "riparato" nelle proprie ferite, tutto il mondo emotivo che si condensa nella relazione di coppia, da dove vengono? Come mai ciascuno di noi ha una serie di aspettative nei confronti dell’altro, che sono uguali per tutti? Certo, i bisogni che ognuno di noi va cercando di colmare grazie al suo compagno sono gli stessi, però non sono sempre declinati allo stesso modo.
Da dove viene la peculiarità delle attese di ciascuno?
Viene dalla storia che ognuno ha avuto nella propria famiglia d’origine.
In pratica possiamo dire che la relazione di coppia rappresenta per tutti la speranza - e l'occasione - vuoi di ricalcare vuoi di modificare la relazione che abbiamo avuto con i nostri genitori.
Ma proprio qui può situarsi il secondo tipo di tradimento che voglio descrivere.
È interessante rileggere il versetto della Genesi (2, 24) tante volte citato: "Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla donna e i due saranno una carne sola", perché alla lettera questo versetto dice che il motivo per cui l’uomo lascerà suo padre e sua madre è per unirsi alla donna. La Bibbia cioè non dice che quando uno ad un certo punto diventa adulto si stacca dai suoi genitori, che poi tra l'altro dovrà continuare ad onorare per tutta la vita, ma dice che se vuole diventare una coppia, ovvero diventare "uno" con la moglie, bisogna che lasci il padre e la madre.
Questa secondo me è una sottolineatura molto interessante da un punto di vista psicologico, perché mostra che il requisito per poter costituire una coppia è che uno possa lasciare suo padre e sua madre. E questa non è una cosa automatica, non è che uno lasci i genitori semplicemente cambiando appartamento,anzi è molto complesso, tanto è vero che la Sacra Scrittura lo raccomanda altre tre volte (Mt 19, 5; Ef 5, 31; 1 Cor 6, 16).
Come ci sono delle coppie che non sono tali (come ho accennato sopra), così ci sono dei distacchi apparenti che in realtà non lo sono: ci sono persone che si sono allontanate fisicamente dai genitori magari mettendo una grande distanza, ma che non riescono a considerare quella con il partner la relazione privilegiata, su cui investire di più, perché restano profondamente vincolati alla propria famiglia d’origine e in particolare all'uno o all'altro dei propri genitori.
Questo tipo di difficoltà è soprattutto vistosa nelle coppie che vanno in crisi nei primi anni della loro fondazione, anni in cui la coppia si sta costituendo.
Una delle ragioni più frequenti di litigio in quegli anni sono “I miei e i tuoi”, cioè la lealtà ancora prevalente che ciascuno dei due manifesta nei confronti dei suoi legami precedenti e che fa sentire il partner messo in secondo piano.
Questo genere di configurazione, che è così frequente, può avvenire per due ragioni opposte.
La ragione più vistosa e anche più superficiale, tanto che occupa tutte le barzellette sulla mamma italiana, è la dipendenza di uno dei due coniugi, nelle nostre caricature solitamente il maschio, da una relazione particolarmente gratificante con uno dei genitori.
Si dice che i maschi italiani siano particolarmente “mammoni”, stereotipo che contiene un elemento di verità: e così un rapporto particolarmente gratificante può essere duro da interrompere per investire su un altro ancora tutto da costruire, quello coniugale, che è una relazione paritaria dove la bilancia, l’equità del dare e dell’avere, prevede un rapporto simmetrico, mentre il rapporto con la madre è asimmetrico in quanto in esso il figlio, per ragioni naturali, è maggiormente in posizione di ricevere che di dare.
Ho conosciuto una coppia in cui la signora era alcolizzata. Si trattava di una donna intelligente, colta, che aveva fatto molte terapie per cercare di uscire da questa sua condizione di alcolismo. Le sedute di coppia davano questo triste effetto, non infrequente, che più lei raccontava cosa la faceva soffrire nel matrimonio e più si sentiva giustificata nella sua depressione, a causa dei torti che il marito le faceva, e per questo motivo beveva sempre più.
Questa signora aveva cinquantaquattro anni e suo marito più di sessanta: l'interessante - che da un certo punto di vista faceva anche un po’ ridere - è che l’addebito principale che la signora faceva al marito era di essere "un mammone”. Lui aveva una madre molto anziana allettata, che la nuora stimava e a cui voleva bene, però non poteva sopportare la dipendenza da lei di suo marito, il quale andava dalla madre a fare la prima colazione ogni mattina, mentre lei dopo venticinque anni di matrimonio non aveva avuto ancora il piacere di preparargli un caffelatte!
Se vogliamo era una caricatura, però lui non era pazzo. Aveva anche lui (come sempre) le sue buone ragioni: era figlio unico di una madre due volte vedova, il padre era morto (di cirrosi conseguente all'alcolismo!) quando lui aveva quattro anni, la madre si era risposata con il fratello del marito che era morto anche lui quando il ragazzo aveva dieci anni e la madre non solo aveva coraggiosamente allevato il figlio molto bene, ma era riuscita anche a mandare avanti l’azienda di famiglia. Quindi quest’uomo era pieno di gratitudine verso la madre, con la quale aveva lavorato tutta la vita, e aveva un'enorme dedizione verso di lei, incurante di provocare questa gravissima sofferenza alla moglie, la quale si sentiva sempre messa in secondo piano.
Questo è un tradimento, dunque, molto appariscente, in cui la ragione per la quale uno dei due resta più legato alla famiglia d’origine che al coniuge è la dipendenza da un rapporto gratificante: quest'uomo era stato molto accudito e amato dalla madre e faceva fatica ad abbandonare questo legame.
Però io voglio proporre anche l’evenienza opposta, più sottile e meno evidente, cioè che uno faccia fatica a lasciare il genitore quando non ha ricevuto abbastanza da parte sua. Infatti una delle ragioni più insidiose della scarsa capacità di emancipazione dalla famiglia d’origine è che è difficile svincolarsi se non ci si è sentiti sufficientemente amati.
Tipicamente nelle coppie che presentano questa difficoltà, il marito può dire: «Mia moglie sta sempre al telefono con sua madre» e la moglie chiarisce: «Mia madre non mi ha mai voluto bene, aveva in mente solo il suo negozio, io sono stata molto gelosa dei negozio di mia madre». Oppure: «mia madre pensava unicamente mio fratello». O: «aveva solo in testa che mio padre stesse sempre al bar e la sera mandava me a prenderlo quando era ubriaco». In sintesi: «la mia mamma aveva sempre in mente un’altra cosa e non me».
Questo tipo legame insoddisfacente può risultare più vincolante, in maniera sotterranea ma tenace, di un legame eccessivamente gratificante.
C’è un grande terapeuta di coppia, Alfredo Canevaro (1999), che usa una bella metafora. Sostiene che un dissidio di coppia (coppie che litigano, che si separano, che si tradiscono, ecc.) ha sempre a che fare con un incompleto svincolo dalla famiglia d’origine: molto spesso ciò accade perché la persona è partita verso il legame coniugale con delle "valige troppo vuote", cioè con poche provviste affettive, e perciò continua a ritornare alla fonte per cercare di riempire le sue valigie. Se potesse riempirle una volta per tutte, se riuscisse effettivamente a rinegoziare la relazione con i genitori, potrebbe smettere di inseguire i genitori facendo sentire il partner in secondo piano, tradito.
Questa realtà mi è regolarmente presente nella pratica che ho con le famiglie che maltrattano i loro bambini, specie con le madri che trascurano gravemente i loro figli (Cirillo, 2005).
Una giovane donna, ad esempio, mi dice: «Mia madre purtroppo è subnormale, un’insufficiente mentale, e per più una donna anaffettiva. Pensi che quando ho avuto la tubercolosi a dieci anni mi ha messa in un sanatorio e non è mai venuta a trovarmi per tre anni». Allora le chiedo: «Ma allora signora se la sua mamma è così, come mai quando lei ha avuto una bambina, che ha trascurato in tutti modi, uno dei modi in cui l’ha trascurata è stato proprio affidarla a sua madre?». E lei risponde con le lacrime agli occhi : «Perché volevo darle un’ultima possibilità!» E intende: "di volermi bene occupandosi della mia bambina".
Ma è un tipo di comportamento che il partner non capisce e vive come un affronto. Ad esempio il marito di questa signora si sente veramente tradito da lei. Perché una delle cose che un coniuge può proporsi nel momento in cui trova una persona che ha una storia difficile con la sua famiglia d’origine è farle arrivare questo messaggio: «Io ti compenserò. Dimentica il tuo triste passato, mettici una pietra sopra: non sei stata contenta con la tua mamma? Ci sono qui io, io ti salverò». E si aspetta che la moglie sia appagata. Per cui se questa si mostra invece sempre all'inseguimento (inutile) della madre, si sente offeso e ingannato.
Io penso che il marito di questa signora, così come molti altri (uomini o donne), si immaginasse di essere come San Giorgio sul cavallo bianco, che arriva e salva dal drago questa ragazza, che è sempre stata trascurata, abbandonata e così via. Lui la salva, la porta via al castello sul suo cavallo bianco e poi si accorge che lei rimpiange il drago!
Ma la ferita dei bisogni infantili di accudimento e di amore è profondissima e rischia di non rimarginarsi mai, per cui si fa fatica a staccarsi da qualcuno che non ci ha dato tutto quello che ci spettava di diritto.
Questo è dunque il secondo tipo di tradimento: la permanenza irrisolta di un legame con la famiglia d’origine che fa sì che il partner, il coniuge, non venga messo al primo posto, ma rappresenti sempre una sorta di surrogato, mai del tutto soddisfacente, di una relazione con la famiglia d’origine che ha dato troppo, o più spesso, che ha dato troppo poco.